torna su
Se nel complesso l'abito maschile risulta essere serio e severo, quello femminile al contrario, è vario, appariscente e assai ricco.
Il copricapo femminile seneghese, è costituito da uno o al massimo due elementi sovrapposti fornendo principalmente tre soluzioni: la prima, mediante fazzoletti quadrati “su muncadoe”.
Il fazzoletto viene indossato nei modi più vari e con qualunque abbigliamento; sono prevalentemente di produzione industriale, di lana, cotone o seta, in taffettà, cangianti o operati a motivi floreali, sia in tinta unita sia policromi, talvolta dipinti da artisti locali.
A Seneghe “su muncadoe” viene indossato in vari modi: aperto totalmente e pendulo sulle spalle è fermato con piccolo nodo, piegato a triangolo con le cocche morbidamente annodate sotto il mento, oppure associato ad un secondo fazzoletto, generalmente di tonalità e fantasia diversa, ricadente sulle spalle.
Veniva indossato sopra “s’iscuffiottu” fazzoletto di cotone o lana, piccolo, a forma triangolare, legato a cuffia, di colore scuro che restava invisibile, utilizzato per tenere i capelli raccolti e fissare comodamente il fazzoletto di seta con degli spilli.
La seconda soluzione, è ottenuta con fazzoletti anch’essi quadrati di grandi dimensioni “su muncadoe mannu”, più austero, ma di grande effetto scenografico, viene indossato adagiandolo su un primo fazzoletto di seta, è fatto ricadere sulle spalle senza ulteriori piegature; sono confezionati in tessuto di finissima lana o cotone stampato, caratterizzati da tonalità cromatiche cupe con cornici a grandi motivi floreali o arabeschi ottenuti tramite stampa.
La terza soluzione fornisce il copricapo più prezioso con ampi fazzoletti di forma quadrata in tulle di cotone “su velu” o “su muncadoe de tulle”.
L'uso del velo, moda importata da Cagliari ed acquisito nel vestimentario seneghese prima della metà del secolo scorso, può essere sia industriale che di manifattura artigianale, si presenta con rete minuta a maglia quadrata o esagonale, ricamato prevalentemente con motivi floreali, con filo di cotone in tinta.
Il fazzoletto in tulle, viene indossato ripiegato a triangolo, sino agli anni sessanta veniva adagiato direttamente sopra i capelli, solo successivamente viene indossato sopra un fazzoletto rosso legato a cuffia, “s’iscuffiottu”.
Le camicie femminili seneghesi sono confezionate con due diversi tessuti: la più pregiata è quella in finissimo lino, filato e tessuto in casa, detta “sa camísa de tèla de domo”, la seconda considerata più ordinaria è realizzata in tessuto di cotone industriale “su dóssu”, entrambe le camicie sono sicuramente l'elemento del costume femminile più pregiato, risulta infatti, l’indumento la cui realizzazione richiede più tempo, più competenza e gusto artistico.
La struttura delle camicie, si presenta molto semplice rendendo l’indumento facilmente adattabile alle diverse corporature femminili, il confezionamento, nasce dall’unione di quattro elementi di tessuto di forma rettangolare, proporzionati alla taglia della committente, uniti a formare busto e maniche, alle quali vengono aggiunti gli elementi di rifinitura, vale a dire polsini e colletto privo di risvolto.
Le maniche presentano un tassello sotto ascellare di forma quadrangolare “su bricau”, che funge da collegamento delle parti suddette col busto. L’ampiezza del tessuto in corrispondenza dello scollo e dell’attaccatura delle maniche, viene raccolto tramite una minuta increspatura, mentre l’ampiezza necessaria per la realizzazione dei polsini, è ottenuta mediante una elaborata e fittissima increspatura dal nome moderno di “punto smog”, ottenendo il decoro, visibile rivoltando all’indietro il polsino, detto “sa rosetta”.
La vestibilità è consentita da due lunghe aperture longitudinali: quella anteriore, in corrispondenza del petto, è chiusa nel colletto con asole trasversali che permettono l’inserimento di bottoni gemelli d’argento o d’oro; quella posteriore, che permette la sistemazione in modo corretto della camicia, è chiusa mediante un laccio.
In corrispondenza del petto, del collo e dei polsini, le camicie, presentano elaborati ricami floreali, realizzati con filo di cotone, bianco su bianco, è ottenuto principalmente mediante il punto pieno.
La stiratura e l’apprettatura, più o meno sostenuta, è ottenuta con amido semplice, richiedendo una cura particolare specie per la parte anteriore; le ampie maniche, piegate una prima volta in senso longitudinale, sono successivamente apprettate e pieghettate finemente a fisarmonica in senso orizzontale, “maniga a sonettes”.
Tra gli indumenti femminili, più arcaici seneghesi ed isolani, è sicuramente il corsetto “s’imbùstu”; privo di maniche, aderente al busto è sagomato per sostenere e dare risalto al seno.
Il suo confezionamento richiede grande capacità sartoriale, sia per la presenza di elaborate impunture che per l’esigua quantità di tessuto pregiato, prevalentemente lampassi, damascati o broccati di seta, che non consentono il riutilizzo degli stessi.
I tessuti utilizzati sono di norma squillanti con policromie accese, in genere con motivi floreali, damascati o arabeschi, che vengono con attenzione sagomati ed orientati, ottenendo motivi decorativi simmetrici rispetto alla linea mediana dell’indumento.
Di norma i corsetti più pregiati, nell’abbigliamento femminile seneghese, erano quelli realizzati con i lampassi di colore giallo attribuito agli agricoltori, verde attribuito agli allevatori, rosso agli artigiani.
La predilezione per queste tonalità, probabilmente nasceva dal fatto, che in passato, in occasione della festa di San Pietro, il 29 giugno, si svolgeva prima della funzione religiosa una gara equestre, dove, il vincitore si aggiudicava una pezza di tessuto. Il premio veniva offerto dal comitato di Santa Maria della Rosa, composto da uomini scelti tra le tre categorie lavorative sopra citate, come riporta il registro della festa.
Il vincitore della gara, di solito, divideva il tessuto in parti uguali, ponendolo in vendita tra i giovani che entro l’anno si sarebbero dovuti fidanzare, i quali a loro volta lo avrebbero donato alle loro innamorate.
Un vezzo femminile, era ed è, quello di impuntarsi nei giorni festivi sul lato sinistro del petto, un fiore o delle erbe profumate legate con un nastrino colorato. Rivolto verso l’alto il bouqhet indicava che la donna era nubile, rivolto verso il basso denotava che ella era coniugata.
La gonna che per eccellenza identifica l’abito femminile seneghese è “sa bunnèddha arrubia”, chiamata anche “sa bunnèddha de carrasegae”.
La gonna, realizzata con pregiato panno di lana, è prevalentemente di colore rosso scarlatto più raramente nero.
Lunga sino alle caviglie, la gonna è caratterizzata da una notevole ampiezza, raggiunta unendo tra loro diversi teli di tessuto.
Il panno di lana plissettato in minute pieghe, cucite tra loro nel giro vita che scendono liberamente dritte verso il basso. La parte anteriore, realizzata da un elemento liscio leggermente increspato sul punto vita, si unisce alla parte plissettata mediante abbottonatura.
La gonna, nella parte inferiore presenta una trina dorata “su gallòne”, che divide un’alta striscia di pregiato tessuto colorato, “s’arrasílliu”.
Realizzato in pregiato tessuto, generalmente in seta, “s’arrasílliu”, può essere di tessuto liscio o damasco, bianco o di colori pastello, cangiante oppure opaco, può inoltre presentare stampi o ricami floreali o essere realizzato in tessuto operato.
Di foggia tipicamente campidanese, ma ormai acquisite come indumenti seneghesi, sono le gonne denominate “di satin”.
Realizzate prevalentemente con tessuti di cotone, le gonne si differenziavano per qualità e preziosità in base alla lavorazione industriale del tessuto.
Le gonne in rasatello o satin con sfondo nero, decorato tramite stampa meccanica, con minuti fiorellini dorati o più raramente argentati, prendono il nome di “ bunnèddha de sattiu lughidu”. Con gli stessi tessuti e con i medesimi decori floreali, realizzati con colori sgargianti, sono le gonne dette “sa bunnèddha de calancau”, a queste ultime si aggiungono le gonne realizzate con sottili tessuti di panno lana di vari colori, con disegni prevalentemente geometrici policromi.
La gonna, lunga sino alle caviglie, si presenta di notevoli dimensioni. Priva di fodera, ad eccezione del bordo inferiore, è caratterizzata nella parte anteriore, da un elemento liscio leggermente increspato sul punto vita, con doppia apertura, Dai fianchi, numerose pieghe verticali, di varie dimensioni ben stirate, raggiungono una fitta arricciatura nella parte posteriore.
Il grembiule, “sa pannedda”, di forma rettangolare, con lungo nastro, in tinta, che nasconde la minuta arricciatura lungo il giro vita, viene indossato generalmente con tutte le gonne.
I grembiuli di gala, sono confezionati con tessuti pregiati rasi, sete, taffettà liscio o damasco “sa pannedda de lustrinu”. I colori, dei grembiuli di gala, sono generalmente scuri ravvivati lungo il perimetro da applicazioni di pizzi in tinta e trine dorate di varie altezze.
Completa il vestiario femminile un piccolo fazzoletto quadrato, pendulo sul lato destro della gonna detto “su muncadoreddu”.
Realizzato con finissime tele di lino, cotone, sete o raso, il fazzoletto, viene decorato con ricami floreali o cifrato e rifinito con pregiati merletti.
Nell'800 la moda “continentale” fece la comparsa anche in Sardegna, dove, in alcune aree isolane, alcuni indumenti forestieri si inserirono nel vestimentario tradizionale. Questo avvenne anche a Seneghe, dove i giacchini e gli scialli, si radicarono come indumento indispensabile femminile.
Il giacchino, a Seneghe, può essere suddiviso per le sue diverse peculiarità in due indumenti distinti: il primo, considerato un giacchino giornaliero, molto semplice nel suo confezionamento, denominato “su zippòne”, il secondo, indossato nei giorni di gala, prezioso nel tessuto e nei ricercati dettagli, è detto “sa baschina”.
Entrambi gli indumenti, che variano notevolmente, dipendendo dai gusti e dalle possibilità economiche delle committenti, presentano caratteristiche simili, ad esempio: l’elaborata realizzazione, dovuta al fatto che tutti gli elementi, che li costituiscono, sono sagomati e proporzionati alla corporatura della committente. Presentano maniche lunghe o più raramente a tre-quarti, appena rigonfie nella parte superiore; possono essere sprovviste di colletto oppure possederlo realizzato alla coreana; presentano la chiusura principale laterale, ottenuta mediante ganci o piccoli bottoni; il tutto viene arricchito ed impreziosito con applicazioni, trine, bottoni gioiello e tessuti pregiati.
Realizzate prevalentemente in tessuto industriale di tonalità scure, le bluse si presentano non sagomate lungo i fianchi, corte sino alla vita, e prive di qualsiasi forma di baschina.
Meno usuale è la blusa, simile ad un piccolo bolero, di varia lunghezza, denominata “su zipone apertu”. La particolarità di questo indumento, è quella di avere la parte anteriore completamente aperta, evidenziando il prezioso ricamo della camicia sottostante o i colori sgargianti dei bustini.
Il giacchino più prezioso detto “sa baschina”, con ovvia derivazione dal dettaglio sartoriale che le caratterizza, viene normalmente confezionato con pregiato tessuto di tibet nero.
Il suo confezionamento prevede la perfetta aderenza dell’indumento, al busto della committente. L'intero indumento è impreziosito con tulle di cotone, rasi o sete in tinta, le quali, sono la base per ricami, applicazioni, trine, lacci, cordoncini o bottoni rivestiti.
Possono presentare piccoli o grandi colletti sciallati, ed in taluni casi, cintura in tessuto con fiocco laterale.
Alla baschina era allegata normalmente una gonna denominata “sa bunnèdha isgaiada”, confezionata con gli stessi tessuti e con gli stessi decori del giacchino associato.
Entrambi gli indumenti in passato erano indossati nelle grandi occasioni, quali cerimonie religiose, festività e in occasione del matrimonio.
La gonna, lunga oltre le caviglie, si presenta di notevole ampiezza, ridimensionata mediante una serie di grandi pieghe verticali, che partendo dai fianchi, raggiungono, nascondendo, la grande piega centrale posteriore.
La peculiarità di questa gonna è quella di avere la congiunzione dei teli posteriori, tagliati in senso trasversale, in modo tale da ottenere una forma svasata a coda di pavone.
D’importazione nazionale ed estera, lo scialle “s’issallu”, incontrò grande fortuna nell’abbigliamento femminile seneghese, arrivando a soppiantare le altre fogge di copricapo presenti.
Utilizzato normalmente per difendersi dalle intemperie o per ricorrenze particolari, lo scialle al giorno d’oggi è utilizzato come vezzo, in quanto considerato indumento supplementare nell’abito femminile.
Lo scialle piegato a forma rettangolare, viene indossato in due modi diversi: poggiato sulla testa, oppure semplicemente adagiato sulle spalle.
Di forma quadrangolare orlato con frangie in cordoncino in tinta, annodato con la tecnica del macramé, gli scialli sono in tessuto di cotone, di lana o di seta, nei primi due casi i colori sono fondamentalmente scuri.
Gli scialli in seta, diffusi a Seneghe, sono quelli dal tessuto leggero operato su base damasco, caratterizzati da una bicromia o tricromia che valorizza i motivi floreali stilizzati di grandi e medie dimensioni.
Gli scialli in seta sono anche denominati “sos issallos de pinnoe”, in quanto, in occasione della festa dell’Assunzione della Vergine, i fedeli come ex voto, per la guarigione di un bambino, confezionavano gli stendardi votivi, detti “sos pinnoese“, realizzati su supporti di canne, sulle quali venivano poi adagiati gli scialli di seta, addobbati ulteriormente con pennacchi, nastri e coccarde.
….. “Il costume è maggiormente apprezzato, dagli stessi isolani, se è arricchito e cosparso di collane, di catene, di ciondoli, di amuleti e di tanti altri ornamenti del genere” ….; Arata G.V. Biasi G., questa descrizione vale anche per l'abbigliamento seneghese, sia maschile che maggiormente in quello femminile, dove i gioielli arricchiscono in numero e in preziosità.
I “bottoni gioiello” “sos butònes”, sono senza dubbio il più importante accessorio del vestiario tradizionale sia maschile che femminile.
Usati soprattutto con l’abbigliamento festivo, ma anche in quello giornaliero, i “bottoni”, di forma mammellare, sono realizzati principalmente in oro, anche se in passato erano più frequenti quelli in argento. Utilizzati singolarmente o in coppia, i “bottoni”, servono a chiudere il collo della camicia sul davanti passando per due asole.
Tra le varie tipologie di “bottoni gioiello”, in argento ed in oro, usati in Sardegna, a Seneghe prevalgono quelli con calotte simmetriche a forma sferica leggermente schiacciata (a melagrana), in filigrana “a giorno” o a tecnica “mista”. Sulla calotta superiore, una piccola lamina troncoconica racchiude una piccola pietra semi preziosa, generalmente granati o turchesi.
Il bottoni più usati, nell'abbigliamento maschile seneghese, sono quelli estraibili a funghetto, lisci in oro, in osso, corallo o altri materiali meno pregiati.
Le collane, “sas cannacas”, hanno avuto da sempre un’importanza fondamentale nel corredo dei gioielli femminili sardi.
Indossate in gran numero, nelle occasioni di gala, le collane, sono realizzate, con numerosi materiali e con diverse tecniche di lavorazione; predominano il corallo e le pietre dure isolane.
Le collane più diffuse a Seneghe, sono quelle realizzate infilando su cordoncino, pezzi lavorati o semilavorati di corallo rosso oppure vaghi, anch’essi in corallo, a barilotto, lisci, sferici o sfaccettati, di diametro decrescente a partire dalla parte mediana verso l’estremità. I vaghi di corallo di questo tipo di collane possono essere talvolta intervallati da vaghi in lamina o in filigrana d’argento o d’oro.
Altre collane molto frequenti, sono tutte le varianti della “gutturada”: collana, realizzata con uno o più fili paralleli di vaghi di corallo rosso o pietre dure, interrotti da vaghi in corallo, in lamina sbalzata o in filigrana d’argento o d’oro.
Menzionati anche negli antichi lasciti testamentari seneghesi, gli orecchini, sono insieme ad altri pochi gioielli, sempre presenti tra i preziosi posseduti e donati alle donne isolane.
Indossati, regolarmente a livello popolare (indipendentemente dallo status civile, economico o sociale del proprietario), gli orecchini sono spesso celati dai pregiati copricapi indossati dalle donne.
Oggetti, generalmente minuti, rispetto agli altri preziosi, gli orecchini, sono generalmente realizzati in argento o in oro, con incastonature di pietre preziose, semi preziose o in pasta vitrea.
Tra gli orecchini più diffusi a Seneghe, vanno ricordati fra i più semplici, quelli a cerchio “sas lorigas”, quelli in oro con bottone ovale o circolare; in oro, con cammeo e pendente a goccia, liscia o sfaccettati, entrambe in corallo rosso “sas piras de coraddu” o “s’arracadas”.
A partire dalla fine del XIX secolo, si diffusero gli orecchini di produzione in serie. Simili tra loro, si differenziano per dimensioni e per la presenza di una o più pietre, preziose o semi preziose, incastonate.
Diffusasi in Sardegna alla fine del XVII secolo, la spilla, “s’aguzza”, è considerato uno fra i doni di fidanzamento.
Utilizzata in modi diversi, la spilla, a Seneghe, viene adoperata principalmente per fermare il fazzoletto o il velo sul capo, oppure per impreziosire il petto, quando si indossano i giacchini.
In oro o in argento e di dimensioni varie, le spille più difuse, sono le “dorgalesi”. Realizzate spesso in serie, hanno forma di fiore, con stelo e con al massimo otto petali. Realizzate in lamina traforata, presentano saldate allo stelo, foglioline allungate e leggermente ondulate, due in lamina e due in filigrana alternate. Il tutto, poi, è rifinito e contornato da una greca semplice, anch’essa in filigrana.
La corona del rosario “s'arrosàriu”, usata per contare le preghiere mentre vengono recitate, è divenuta col tempo un vero e proprio gioiello, da ostentare durante le funzioni religiose.
Tra i rosari più antichi e preziosi diffusi nel nostro paese ricordiamo quelli denominati di Terra Santa e quelli d'artigianato regionale.
I rosari detti di Terra Santa, hanno tutti in comune un elemento caratterizzante: sono integralmente realizzati con vaghi in madreperla e sono inoltre, i più comuni presso le famiglie seneghesi.
I più antichi rosari in madreperla, presentano i vaghi della corona di notevoli dimensioni, ovali o sferici, infilati in una cordicella colorata terminante con una nappina a cui è sempre associata una croce o una medaglia o entrambi gli elementi. Le medaglie, realizzate con conchiglie di maggiori dimensioni, contengono, in entrambi i lati, raffigurazioni del Cristo o della Madonna il cui culto è presente nella tradizione popolare.
La seconda tipologia di rosario, deriva dalla trasformazione dei rosari di Terra Santa: da prima la sostituzione delle medaglie e dei crocefissi di madreperla con i più preziosi medaglioni in filigrana d’argento, successivamente furono legati i vaghi con fili di rame o d’argento.
I rosari considerati d’ artigianato sardo, si presentano con una corona di cinque o massimo sette poste, con vaghi di corallo, madreperla, giaietto o pasta vitrea policroma, incatenati tra loro con filo d’argento o d’oro. In alcuni casi, il Paternostro, è sostituito da un vago realizzato in filigrana, oppure integrato da una piccola medaglia realizzata a fusione.
Nei rosari più antichi è presente come spartitore la raffigurazione di un uccello fantastico, oppure da un fiocco, realizzato in filigrana, a quattro o sei nastri con pietra centrale.
I pendenti possono variare, da una semplice patena ad un crocefisso in lamina o filigrana. Nei casi particolarmente importanti, i rosari si presentano con pendenti compositi in filigrana d’argento, con stella ad otto punte, alla quale è collegata in posizione centrale una serie di pendenti: il grande crocefisso, una patena in lamina oppure un rosone in filigrana contenente nella parte centrale una reliquia. Alla stella, lateralmente, sono appesi due medaglioni in filigrana oppure due patene riproducenti immagini sacre.
Il nostro modo di indossare l’abito tradizionale, come il nostro modo di parlare il sardo o il nostro ballo tradizionale, sono espressione della nostra identità e dicono con orgoglio la nostra appartenenza alla comunità seneghese.
(di: Giorgio Putzolu)
(Foto: Giampiero Ragatzu, Alice Mastinu, Giorgio Putzolu, Associazione Culturale Perda Sonadora)