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ABITO TRADIZIONALE SARDO
"cenni storici"

Nel corso della storia la Sardegna ha conosciuto la dominazione di numerosi popoli stranieri, i quali hanno influenzato, talvolta in modo quasi radicale, la cultura, il vestire, le tradizioni, ed il vivere del popolo sardo.
Le più antiche testimonianze del vestire degli antichi sardi, possono essere studiate ed esaminate nella statuaria nuragica, la quale, minuziosa, permette il riconoscimento di alcuni indumenti, talvolta appena accennati ma a noi familiari: copricapi, mastruche, manti, gonnellini maschili, gambali o sandali, indumenti che nel corso dei secoli, non hanno subito trasformazioni, ma sono rimasti immutati, non solo in Sardegna, ma anche in altre aree del Mediterraneo.

 

Nell’antica Roma, gli abitanti della Sardegna, chiamati, in modo sprezzante da Cicerone “sardi pelliti”, per la loro tipica sopraveste priva di maniche, realizzata con pelli ovine o caprine, furono, invece, apprezzati per i loro tessuti, tanto che nella seconda guerra punica, Roma fece richiesta di cinquecento toghe e altrettante tuniche (in fresi) per l’esercito che stanziava nell’Isola.
Anche i Papi, in passato, apprezzarono i pregiati e rarissimi tessuti isolani. Nell’851 con lettera pontificia Papa Leone IV fece richiesta di una pezza di stoffa realizzata con il “pinnino” (lana marina), tessuto usato per lungo tempo, anche come mezzo di pagamento nella Sardegna medioevale.
Anche Dante Alighieri, nella Divina Commedia, ebbe modo di parlare del vestire delle donne sarde, in modo particolare di quelle barbaricine, colpevoli di andare in giro a seno scoperto, usanza mai accertata dagli storici.

 

Durante la dominazione spagnola la Sardegna subì un'importante trasformazione culturale che influenzò l'architettura, i rituali religiosi, l'alimentazione, l'oreficeria ed il vestiario. Al giorno d'oggi queste similitudini, possono essere comparate con il vestiario tradizionale di alcune zone della Spagna. Le gonne, ad esempio, presentano le stesse peculiarità sia nell'utilizzo delle pregiate stoffe quali broccati, sete o lampassi, sia nel confezionamento di plissettature, più o meno minute, sia dal numero delle gonne contemporaneamente indossate per essere all'occorrenza sollevate fino a coprire le spalle o il capo a difesa delle intemperie.

 

Furono i primi grandi viaggiatori dell'ottocento che “riscoprirono” le meraviglie della Sardegna. Il tedesco Joseph Fuos, l'inglese William Henry Smyth, il francese Antoine-Claude Pasquin detto Valery, il gesuita italiano Padre Antonio Bresciani Borsa, l'italiano Bartolomeo Pinelli, furono i capostipiti di una serie di scrittori ed incisori che documentarono, con le loro opere le peculiarità che differenziavano la Sardegna dal resto dell'Italia e dell'Europa.
Nei loro racconti si leggeva lo stupore per le meraviglie naturali delle coste e dell'entroterra, della storia millenaria con la descrizione degli imponenti e maestosi nuraghi, le feste religiose con le corse equestri o i resoconti dettagliati delle merci esportate ed importate dal “continente”.
L'argomento più analizzato in queste opere è sicuramente “il vestire dei sardi”, diverso ed articolato nell'ambito del territorio isolano ma riconoscibile ed unitario per le genti extra isolane.

 

Suscitano nei visitatori l'estro e la curiosità delle vesti arcaiche maschili.. reticelle in cui raccogliere i capelli.... lunghi berretti neri in lana intrecciata.... mastruche in pelle di montone… cinture guarnite con nastri neri in cui infilare grossi coltelli… giacche in cuoio senza maniche …. bottoni in filigrana in oro o argento di forma mammellare ……braghe increspate intorno alla vita…..palandrane lunghe sino ai talloni..; tutti indumenti riconducibili ad una eredità del mondo mediterraneo antico.

In contrapposizione al vestiario maschile, quello femminile, scoperto in uno stato notevolmente più avanzato nella loro evoluzione, scaturì nei viaggiatori, ammirazione per il variegato e prezioso corredo vestimentario isolano. Vestiario che, già nell'ottocento era in parte confezionato con tessuti d'importazione, come annovera il Valery, descrivendo le numerosi stoffe presenti alla fiera “frequentatissima” che si teneva ad Oristano durante il mese di settembre.
Non passarono, inoltre inosservate le bianchissime e preziose camicie in lino o in cotone arricchite da pregiati ricami, strette alla vita dai preziosi bustini in broccato che accentuavano il seno o le scollature molto appariscenti delle donne sarde.

Decorse meno di un quarto di secolo dal viaggio effettuato dal Valery in Sardegna, quando il cartografo e generale Alberto La Marmora, elogiava, nel suo resoconto “Itinerario dell’Isola di Sardegna”, come in Europa vi fossero pochi paesi nei quali le fogge degli antichi costumi si fossero conservati fino ad allora come in Sardegna. A tali elogi si contrappone il biasimo dell'introduzione, in tutti gli angoli dell'isola, da parte dei commessi viaggiatori dei loro “calicots” o cotoni stampati che a poco a poco sostituivano i preziosi tessuti con cui erano confezionati gli indumenti femminili. 

 

Altro periodo cruciale nella metamorfosi dell'abbigliamento tradizionale sardo, fu a cavallo della fine dell'800 sino al primo ventennio del 900.
In questo arco di tempo molti indumenti “arcaici” maschili e femminili, furono abbandonati per essere sostituiti con indumenti più pratici dalle fogge continentali.
Con l'avvento del servizio militare e della Prima Guerra Mondiale, gli uomini abbandonarono l'utilizzo di molti capi tradizionali, le sopravesti in pelle e le ragas furono sostituite da capotti in tessuto industriale e da calzoni a tubo di panno e di fustagno.
Gli indumenti femminili giornalieri, finora confezionati con tessuti prettamente tradizionali furono sostituiti, quasi del tutto, da quelli d'importazione industriale, relegando il vestiario tradizionale alle occasioni importanti: feste, funzioni religiose e matrimoni.
In alcune aree della Sardegna, soprattutto in prossimità dei grandi centri, dove la “moda” delle grandi sartorie italiane e francesi, si stava sostituendo a quella tradizionale, l'abbigliamento venne influenzato nelle fogge e nei decori, dando origine al “vestire a sa zivile”, dove gli indumenti non identitari si mischiavano con quelli tradizionali convivendo assieme per alcuni decenni.

 

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si raggiunse una svolta definitiva sul vestire tradizionale isolano.
In gran parte della Sardegna le generazioni antecedenti agli anni 50 del Novecento, che, a loro volta, avevano dismesso o modificato parte del vestiario tradizionale, per sostituirlo o integrarlo con indumenti “moderni”, si confrontarono con le nuove generazioni che preferirono abbandonare, in modo definitivo, questo modo di vestire, specchio per loro di una situazione di arretratezza e soggezione culturale.
Questa rottura culturale col passato, ha portato per diversi decenni all'abbandono di taluni corredi vestimentari sardi, che studiosi ed appassionati alla cultura isolana, in modo più o meno scientifico, hanno ricreato, utilizzando fonti orali, storiche, iconografiche e fotografiche o riesumando da vecchi armadi o cassapanche gli indumenti riposti e dimenticati per decenni.
Al giorno d'oggi quando si descrive l'abbigliamento identitario – tradizionale, di ciascun paese o città della Sardegna, si tende a descrivere innanzi tutto il “costume di gala”, ossia gli abiti festivi o cerimoniali trascurando gli indumenti giornalieri, che invece riteniamo essere importanti nella storia del vestimentario sardo.


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ABITO TRADIZIONALE SENEGHESE

Nel descrivere l'abito tradizionale di Seneghe, sia maschile che femminile, ci soffermeremo solo sugli indumenti ancora in uso, indossati nelle maggiori sagre isolane o per il tradizionale Carnevale, dove i seneghesi sfoggiano i migliori indumenti in loro possesso, conservati con estrema cura, tramandati da diverse generazioni e talvolta annoverati anche nei testamenti ereditari.


In linea di massima l'abito tradizionale di Seneghe, sia maschile che femminile è costituto da indumenti base diffusi in quasi tutti i centri dell'isola.

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Autore del testo: Giorgio Putzolu

Foto: Giampiero Ragatzu, Alice Mastinu, Giorgio Putzolu, Associazione Culturale Perda Sonadora

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